Il livello di istruzione in Italia - il rapporto Istat sui dati 2020

11/10/2021

L'Istat ha pubblicato il suo report annuale sul livello di istruzione della popolazione

Il principale indicatore del livello di istruzione di un Paese è la quota di popolazione di età compresa tra i 25 e i 64 anni in possesso di almeno un titolo di studio secondario superiore: Il diploma è considerato, infatti, il livello di formazione indispensabile per una partecipazione al mercato del lavoro con potenziale di crescita individuale.

In Italia, nel 2020, tale quota è pari a 62,9% (+0,7 punti rispetto al 2019), un valore decisamente inferiore a quello medio europeo (79,0% nell’Ue27) e a quello di alcuni tra i più grandi paesi dell’Unione.
Anche la quota dei 25-64enni con un titolo di studio terziario in Italia è molto bassa, essendo pari al 20,1% contro il 32,8% nella media Ue27.

Il dato 2020 conferma come la crescita della popolazione laureata in Italia sia più lenta rispetto agli altri paesi dell’Unione: l’incremento è di soli 0,5 punti nell’ultimo anno, meno della metà della media Ue27 (+1,2 punti) e decisamente più basso rispetto a quanto registrato in Francia (+1,7 punti), Spagna (+1,1) e Germania (+1,4).

Il livello di istruzione delle donne rimane sensibilmente più elevato di quello maschile: le donne con almeno il diploma sono il 65,1% e gli uomini il 60,5%, una differenza ben più alta di quella osservata nella media Ue27, pari a circa un punto percentuale. Le donne laureate sono il 23,0% e gli uomini il 17,2%; il vantaggio femminile, ancora una volta più marcato rispetto alla media Ue, non si traduce però in analogo vantaggio in ambito lavorativo.

Anche le donne straniere hanno un livello di istruzione più elevato rispetto alla componente maschile: cinque straniere su dieci possiedono almeno il diploma contro quattro uomini su dieci, il 14,3% di queste è laureato contro l’8,3% degli uomini

Sono lontani i target della Strategia Europa2020:
La Strategia Europa2020 aveva tra i suoi target l’innalzamento della quota di 30-34enni in possesso di un titolo di studio terziario, considerato un obiettivo fondamentale per una “società della conoscenza”.
In Italia, il valore di questo indicatore ha registrato negli anni una progressiva crescita, ma, nel 2020, per il secondo anno consecutivo risulta pressoché stabile al 27,8% (+0,2 punti rispetto al 2019).
Il gap da colmare con la media europea (41,0%) e con gli altri grandi paesi dell’Unione (Francia, Spagna e Germania registrano quote pari al 48,8%, 44,8% e 36,3%, in crescita anche nell’ultimo biennio) è davvero molto ampio e negli anni non si è ridotto.
La bassa quota di giovani 30-34enni con un titolo terziario risente anche della limitata disponibilità di corsi terziari di ciclo breve professionalizzanti che in Italia sono erogati dagli Istituti Tecnici Superiori e che in alcuni paesi europei, in particolare, in Francia, Spagna e Regno Unito, rappresentano - nella classe di età 30-34 anni- una parte importante dei titoli terziari conseguiti (rispettivamente il 32%, il 29% e il 14%).

Resta sempre alta in Italia la quota di giovani che abbandonano gli studi
In Europa, il fenomeno è misurato dalla quota di 18-24enni che, in possesso al massimo di un titolo secondario inferiore, è fuori dal sistema di istruzione e formazione (Early Leavers from Education and
Training, ELET). Questo indicatore è stato uno dei benchmark della Strategia Europa2020 che ne fissava il valore target europeo al 10%, ridotto al 9% entro il 2030.
In Italia, nel 2020 la quota di giovani che hanno abbandonato gli studi precocemente è pari al 13,1%, per un totale di circa 543 mila giovani, in leggero calo rispetto all’anno precedente. Nonostante l’Italia abbia
registrato notevoli progressi sul fronte degli abbandoni scolastici, la quota di ELET resta tra le più alte dell’Ue. Nell’anno di chiusura della Strategia decennale dell’Unione la percentuale è scesa infatti al 9,9% in media Ue27 (valore addirittura lievemente più basso del target prefissato), alla luce del fatto che la Francia ha raggiunto il valore target già da diversi anni e la Germania lo ha praticamente raggiunto nel corso del 2020.
L’abbandono scolastico caratterizza i ragazzi (15,6%) più delle ragazze (10,4%) e per queste ultime si registra una diminuzione anche nell’ultimo anno (-1,1 punti).
La dispersione scolastica è fortemente condizionata dalle caratteristiche socio-economiche della famiglia di origine. Incidenze molto elevate di abbandoni precoci si riscontrano quindi dove il livello d’istruzione e/o quello professionale dei genitori è basso.

Partecipazione degli adulti alla formazione più bassa della media europea
Il capitale umano di un individuo non si forma soltanto attraverso i percorsi educativi formali (scuola, università). L’apprendimento permanente durante tutto l’arco della vita (lifelong learning) assume dunque sempre maggiore rilevanza soprattutto alla luce dei cambiamenti nel mercato del lavoro, della mobilità lavorativa e dell’innovazione tecnologica. La partecipazione ad attività formative durante tutto l’arco della vita favorisce la vita sociale degli individui, una cittadinanza attiva e la coesione sociale.
L’Europa ha posto come target della Strategia Europa2020 l’innalzamento ad almeno il 15% della quota di popolazione tra i 25 e i 64 anni che ha partecipato ad un’attività di istruzione e/o formazione recente (nelle quattro settimane precedenti l’intervista). Nel 2020, la partecipazione degli adulti a un’esperienza di apprendimento recente in Italia è inferiore al valore medio dell’Ue27 (7,2% contro 9,2%). Tra i fattori che più influenzano la partecipazione degli adulti alla formazione continua vi è il livello di istruzione posseduto. Nel 2020, l’incidenza del lifelong learning è pari al 16,9% tra chi ha un titolo terziario, si riduce al 7,6% tra i diplomati ed è solo dell’1,4% tra chi ha un basso titolo di studio.
Nel 2020, la partecipazione in Italia al lifelong learning è minima tra i disoccupati e massima tra gli occupati (4,4% verso 7,6%,) mentre nel resto d’Europa è massima tra i disoccupati (10,5% rispetto a 9,5% degli occupati nella Ue27).
Il divario Italia-Europa è dunque massimo proprio per le persone disoccupate in età attiva (25-64 anni), (una delle popolazioni target dell’Agenda europea per le competenze) che devono riallocarsi nel mondo del lavoro e spesso hanno competenze acquisite lontano nel tempo e dunque più obsolete.